«Con la prossima legge di Bilancio è necessario un intervento choc, che nel giro di qualche anno riduca di almeno tre o quattro punti percentuali la pressione fiscale», afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, Paolo Zabeo. «Chi ritiene che siano sufficienti solo 10 miliardi di euro si sbaglia di grosso: questa cifra è insufficiente. Per il 2021 è necessaria una contrazione di almeno 20 miliardi e questo obiettivo potrà essere raggiunto solo se si riuscirà ad abbassare, di pari importo, la spesa pubblica improduttiva e una parte delle agevolazioni fiscali. Compiere questa operazione, comunque, non sarà per niente facile. Negli ultimi dieci anni, infatti, la spending review non ha prodotto risultati apprezzabili, mentre il numero delle deduzioni e delle detrazioni fiscali è aumentato a dismisura, soprattutto in questo periodo di Covid».
Paghiamo tanto per avere pochi servizi
Un peso tributario eccessivo, come quello presente nel nostro Paese, costituisce un problema, sia perché riduce la disponibilità economica di tante famiglie e di altrettante imprese sia perché drena risorse che altrimenti potrebbero essere investite per favorire i consumi, gli investimenti e, quindi, lo sviluppo del sistema economico. Sottolinea il segretario dell’associazione mestrina, Renato Mason: «Con un carico fiscale così eccessivo e una platea di servizi erogati dalla nostra pubblica amministrazione che negli ultimi anni è scesa di livello, sia in termini di qualità che di quantità, questa situazione ha contribuito a determinare una contrazione della domanda interna e un crollo degli investimenti pubblici. Ma oltre a tagliare le tasse è altrettanto importante semplificare il nostro sistema fiscale. Pagare le imposte è diventato sempre più difficile: lo dicono gli esperti, come i commercialisti e i tecnici delle associazioni di categoria. Figuriamoci come la pensano i piccoli imprenditori, che oltre a occuparsi della propria attività, spesso sono chiamati a misurarsi con una burocrazia fiscale astrusa e scriteriata, che non ha eguali nel resto d’Europa».
Quest’anno il peso delle tasse è destinato a salire nuovamente
Stando agli ultimi dati disponibili (media anno 2019), la pressione fiscale in Italia si è fermata al 42,4% del Pil, in aumento di 0,7 punti percentuali rispetto al 2018. Questo incremento è avvenuto dopo cinque anni di costante riduzione del carico fiscale. Dopo il picco massimo di tutti i tempi, toccato nel 2013, il peso di tasse e contributi ha cominciato a scendere, in particolar modo con l’esecutivo guidato da Renzi che, tra le altre cose, ha eliminato l’Imu sulla prima casa e ha alleggerito il costo del lavoro dei neo assunti. Cosa succederà quest’anno? «Premesso che con la pubblicazione della Nota di aggiornamento al Def, prevista oggi, avremo contezza della soglia raggiunta quest’anno, abbiamo l’impressione che la pressione fiscale sia destinata ad aumentare ulteriormente. Non tanto perché le aliquote sono state ritoccate verso l’alto, cosa che infatti non è avvenuta, ma perché registreremo una caduta verticale del Pil, più significativa della contrazione registrata dalle entrate. Ricordiamo, infatti, che la pressione fiscale è data dalla somma delle entrate tributarie e di quelle contributive; il risultato di questa operazione deve poi essere rapportato al Pil e, successivamente, moltiplicato per 100».
Per pressione fiscale siamo al sesto posto in Ue
Tra i 28 Paesi che nel 2019 costituivano l’Unione europea, l’Italia si è classificata al sesto posto, per quanto riguarda il peso della pressione fiscale in percentuale al Pil. La Danimarca presenta il carico fiscale più importante (47,6%), seguono la Francia (47,3%), il Belgio (45,5%), la Svezia (43,5%) e l’Austria (42,9%). Il sesto posto di questa particolare graduatoria è occupato dall’Italia che, come dicevamo, nel 2019 ha registrato una pressione fiscale del 42,4%. Se tra i nostri principali competitor la Germania presenta un peso fiscale complessivo del 41,6%, il Regno Unito e la Spagna, entrambe con un carico fiscale complessivo del 35,2%, possono addirittura contare su un differenziale di 7,2 punti di tasse in meno rispetto al nostro Paese. Se nel confronto con la pressione fiscale media dell’Ue, riferita all’anno scorso (40,2%), una famiglia italiana avrebbe pagato 1.506 euro in meno di tasse, nella comparazione con il carico fiscale dei Paesi Bassi il vantaggio sarebbe stato di 2.123 euro, mentre con il Regno Unito e la Spagna avrebbe addirittura potuto beneficiare di una sforbiciata pari a 4.930 euro.

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