«Ancora una volta le aziende che lavorano per la pubblica amministrazione sono rimaste in massima parte a bocca asciutta», afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo. «L’ennesima dimostrazione di un malcostume tutto italiano che, anche in pieno periodo Covid, non accenna a venir meno. Anzi, il rischio che la situazione regredisca ulteriormente è alquanto probabile».
A rischio le tredicesime dei dipendenti
«Tra gli effetti generali della crisi in atto, il calo degli ordinativi e i mancati pagamenti, tante aziende fornitrici degli enti pubblici denunciano insistentemente la mancanza di liquidità e non è da escludere che, a dicembre, molte avranno grosse difficoltà a pagare le tredicesime ai propri dipendenti. Un problema, quello dei mancati pagamenti da parte dello Stato e delle sue articolazioni periferiche, che, purtroppo, ci trasciniamo da decenni. La questione sarebbe risolvibile, se fosse consentita per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i debiti della Pa verso le imprese e le passività fiscali e contributive in capo a queste ultime. Un automatismo che ristabilirebbe un principio di civiltà giuridica: le forniture di merci o le prestazioni di servizio devono essere onorate dal committente pubblico così come previsto dalla legge; entro trenta giorni o al massimo sessanta in determinati settori, come quello sanitario».
La Pa ritarda il pagamento soprattutto verso le imprese più piccole
Tuttavia, non tutte le aziende che lavorano per le amministrazioni pubbliche attendono tempi biblici per essere saldate. Sottolinea il segretario della Cgia, Renato Mason: «La Corte dei conti ha dichiarato che, negli ultimi tempi, gli enti pubblici stanno tendenzialmente onorando con puntualità le scadenze di importo maggiore, ritardando invece premeditatamente il pagamento di quelle più modeste. Una condotta che, ovviamente, sta penalizzando le piccole e piccolissime aziende che, generalmente, lavorano per appalti, forniture o servizi che presentano dimensioni economiche più contenute, rispetto a quelle assegnate alle medie-grandi imprese. Pertanto, senza liquidità a disposizione, tanti artigiani e altrettanti piccoli imprenditori si trovano in grave difficoltà e, ironia della sorte, molti di questi rischiano di chiudere la propria attività, non per debiti, ma per troppi crediti non ancora incassati».
Nonostante la fatturazione elettronica, lo split payment non è ancora abolito
«La cosa più inammissibile di tutta questa vicenda», osservano sempre dalla Cgia, «è che nessuno è in grado di affermare a quanto assomma ufficialmente il debito commerciale complessivo della nostra Pa, sebbene da qualche anno le imprese che lavorano per il settore pubblico abbiano l’obbligo di emettere la fattura elettronica. Ricordiamo, inoltre, che l’avvento della fattura elettronica avrebbe dovuto eliminare un altro grosso problema che assilla i fornitori degli enti pubblici: vale a dire lo split payment. Lo split payment, infatti, introdotto nel 2015, ha obbligato le amministrazioni centrali dello Stato a trattenere l’Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all’erario. Il meccanismo, sicuramente efficace nell’impedire che l’imprenditore disonesto non versi l’Iva all’erario, ha però provocato molti problemi finanziari a tutti coloro che con l’evasione non hanno nulla a che fare e ai quali l’Iva consentiva di fronteggiare nel breve periodo le necessità di cassa».

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