«Mentre aspettiamo che i 27 Paesi dell’Ue trovino un accordo per consentire l’utilizzo dei coronabond», afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, Paolo Zabeo, «nel frattempo sarebbe opportuno che la nostra pubblica amministrazione pagasse i propri fornitori e fosse in grado di avviare le tante opere pubbliche che, ironia della sorte, sono in buona parte già finanziate. Se sbloccate, queste misure darebbero una prima importante iniezione di liquidità al sistema economico del Paese, invece, la cattiva burocrazia e il malfunzionamento della macchina pubblica continuano a rappresentare un problema molto serio, quanto la rovinosa caduta che l’economia italiana si appresta a subire nei prossimi mesi».
Mai come in questo momento a famiglie e imprese serve liquidità
Come denuncia infatti la Cgia, tra i debiti commerciali non ancora onorati (53 miliardi di euro; dati di Bankitalia) e la mancata apertura di tantissimi cantieri, relativi a infrastrutture strategiche o a opere pubbliche minori distribuite lungo il Paese, (quasi 750, stando ai dati dell’Ance, per un valore di 62 miliardi di euro) la Pa blocca complessivamente 115 miliardi di spesa, che sarebbero indispensabili per fronteggiare l’attuale situazione economica. Mai come in questo momento, infatti, le famiglie e le imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, avrebbero bisogno di liquidità e nonostante le misure messe in campo dal Governo si continua a non affrontare il cuore del problema.
A subire la contrazione del credito sono soprattutto i più piccoli
«Le piccolissime imprese», sottolinea il segretario dell’associazione mestrina, Renato Mason, «spesso si appoggiano alle banche del territorio, che indicativamente hanno poche risorse e quindi mi aspetto che anche nei prossimi mesi saranno più severe nel valutare le garanzie per concedere i finanziamenti. Per questo motivo andrebbero cambiate le regole europee, introducendo il principio di proporzionalità. Ovvero non si possono seguire gli stessi criteri di valutazione per imprenditorialità diverse. I lavoratori autonomi, per esempio, non possono essere valutati come le imprese strutturate o le grandi società di capitali; la richiesta di garanzia andrebbe modulata in base alla dimensione dell’ impresa. Invece, tutti sono trattati allo stesso modo, con il risultato che a subire il credit crunch sono in particolar modo i piccoli. E il combinato disposto tra i mancati pagamenti della Pa e il poco credito erogato dalle banche alle piccole imprese rischia di far chiudere definitivamente tantissime attività».

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