La caduta dei consumi è prevalentemente determinata dalle restrizioni e dalla grande prudenza con cui le famiglie stanno affrontando l’emergenza sanitaria, su cui pesa anche l’incertezza generata dal susseguirsi continuo di nuovi provvedimenti. A pagarne lo scotto, soprattutto, le imprese del commercio, del turismo e della ristorazione, che sono state le più colpite dalla recessione pandemica, con una diminuzione media del valore aggiunto del 16,2%, a fronte del -9,6% registrato dalle altre imprese. Un problema per la crescita, visto che si riduce fortemente la quota di Pil generata da questi comparti: si passa dal 6,2 al 4,4% del Pil per alberghi e pubblici esercizi; dal 4,2 al 3,3% per la ricreazione e cultura; dal 3,7 al 3% per l’abbigliamento.
Senza un rilancio dei consumi si entrerà in una spirale discendente
Dinamiche che evidenziano l’attuale impossibilità dei consumi interni di spingere la crescita dell’economia italiana, come hanno sempre fatto, visto che valgono il 60% del nostro Pil. Senza una loro decisa ripresa, quindi, l’economia del Paese entrerà in una spirale discendente da cui sarà difficile uscire. «Lo stop dei consumi ha gettato le imprese del terziario in una crisi senza precedenti. I prossimi mesi rischiano di vedere aumentare drammaticamente il numero di cessazioni delle attività, in particolare quelle di prossimità e legate alla filiera turistica», commenta Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti. «Il Recovery plan si occupa di molte cose, ma non si prevedono interventi diretti per commercio, alloggio e ristorazione, per i quali il piano genererebbe ricadute positive solo sul medio-lungo periodo. Purtroppo, però, c’è un problema urgente di tenuta del sistema imprenditoriale».
Superare il criterio basato sui codici Ateco: ha escluso troppe imprese
«Se si sceglie di sacrificare pubblici esercizi, imprese turistiche e commercio per limitare la circolazione dei cittadini, e quindi a vantaggio del bene comune, dobbiamo cambiare passo sui sostegni. Bisogna superare assolutamente il criterio di scelta in base al codice Ateco, che è stato un fallimento e ha lasciato fuori troppe imprese. Basta anche con i dl ristori “a puntate”: serve un intervento di largo respiro, con più risorse e un cronoprogramma chiaro, per dare alle attività la certezza di sostegni sufficienti a portarle oltre la fine dell’emergenza sanitaria. Un intervento che deve affrontare anche il nodo dei costi fissi, dagli affitti alle utenze (la stessa Ue prevede per gli Stati membri la possibilità di aiuti fino al 90% delle spese fisse sostenute per le piccole imprese in difficoltà) e quello del rilancio del tessuto imprenditoriale, prevedendo anche misure per la ricollocazione e la riconversione intelligente delle attività».

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