«Ci riferiamo a quel ceto medio produttivo costituito da imprese dei servizi, negozianti, botteghe artigiane e partite Iva con meno di dieci addetti», precisa il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, Paolo Zabeo, «che dopo il lockdown non si sono più riprese e, ora, hanno manifestato l’intenzione di chiudere definitivamente la saracinesca. A parte i bar, i ristoranti, le attività ricettive e il piccolo commercio, le difficoltà hanno investito soprattutto il settore del mobile, del legno, della carta e della stampa, nonché il tessile, l’abbigliamento e le calzature. Con poca liquidità a disposizione e il crollo dei consumi delle famiglie, i bilanci di queste micro attività si sono colorati di rosso; una situazione ritenuta irreversibile, che sta inducendo tanti piccoli imprenditori a gettare definitivamente la spugna».
Negli ultimi dieci anni quasi 180mila aziende artigiane in meno
«Gli effetti economici del Covid», aggiunge il segretario della Cgia, Renato Mason, «si sono sovrapposti a una situazione generale che era già profondamente deteriorata. Ricordo che, tra il 2009 e il 2019, lo stock complessivo delle aziende artigiane presenti in Italia è sceso di quasi 180mila unità. Circa il 60% della contrazione ha riguardato attività legate al comparto casa: edili, lattonieri, posatori, dipintori, elettricisti, idraulici, eccetera hanno vissuto anni difficili e molti sono stati costretti a cessare l’attività. La crisi dell’edilizia e la caduta verticale dei consumi delle famiglie sono stati letali».
Più contributi a fondo perduto e cancellare le scadenze fiscali
«Purtroppo, le profonde trasformazioni in atto e la drammatica crisi che vivremo nei prossimi mesi cancelleranno moltissime attività, con la conseguenza di cambiare il volto delle nostre città, incidendo negativamente anche sulla coesione sociale del Paese”. La Cgia torna a chiedere che con il decreto di agosto le micro realtà commerciali e produttive più fragili all’emergenza sanitaria siano aiutate a rimanere in vita. Come? In primo luogo, attraverso un’ulteriore e più robusta erogazione di contributi a fondo perduto; in secondo luogo, con la cancellazione delle scadenze fiscali erariali, almeno fino alla fine di quest’anno».
Il rischio di un aumento esponenziale dei disoccupati è molto elevato
Le previsioni non lasciano presagire nulla di buono. Dalla Cgia ricordano che, nel 2009, l’anno horribilis dell’economia italiana di questi ultimi 75 anni, il Pil nazionale è sceso del 5,5%, mentre il tasso di disoccupazione nel giro di due anni è salito dal 6 al 12%. Con un Pil che, nelle più rosee previsioni, quest’anno dovrebbe diminuire del 10%, quasi il doppio della contrazione registrata nel 2009, il pericolo che il numero dei disoccupati aumenti esponenzialmente è molto elevato.
Eppure molti settori non trovano personale qualificato
«Oltre a dare liquidità, tagliare le tasse e alleggerire la burocrazia», continua Mason, «è anche necessario rivalutare il lavoro manuale. Negli ultimi 40 anni c’è stata una svalutazione culturale che è stata spaventosa. Attraverso le riforme della scuola avvenute in questi ultimi anni e, soprattutto, con il nuovo Testo unico sull’apprendistato, alcuni passi importanti sono comunque stati compiuti, ma non basta. Bisogna fare una vera e propria rivoluzione, per ridare dignità, valore sociale e un giusto riconoscimento economico a tutte quelle professioni dove il saper fare con le proprie mani costituisce una virtù aggiuntiva che rischiamo colpevolmente di perdere. Non possiamo nasconderci, tuttavia, che nonostante la crisi, c’è un grande paradosso a cui non riusciamo a dare una soluzione: mentre tante micro attività chiudono, molti settori, almeno fino a poco tempo fa, denunciavano la difficoltà a reperire personale qualificato».

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